«Ostinati nella speranza e nella ricerca della pace»

Nell’omelia in Duomo per la solennità del Corpus Domini, dall’Arcivescovo una duplice esortazione che nasce dall’incontro con Gesù e dal dono ricevuto da lui risorto, come richiamato anche dal Papa. Al termine della celebrazione festeggiato il 50° di sacerdozio di monsignor Delpini

di Annamaria BRACCINI

20 Giugno 2025

 

L’ostinazione della speranza, nonostante tutto, nonostante «la guerra, gli spettacoli di orrore, le parole dei potenti che pronunciano maledizioni e minacce». Il dolore e la tristezza per le tante situazioni tragiche di oggi e la fede in Cristo che testimonia «che abbiamo incontrato il Signore e la sua promessa di vita eterna e felice».

L'Arcivescovo sul balcone centrale del Duomo nel momento di festa. Con lui il Vicario generale (foto Andrea Cherchi)

La celebrazione

È un inno alla speranza, quello che segna la solennità del Corpus Domini nell’Anno santo dedicato appunto alla speranza, a cui prendono parte oltre 2000 fedeli e che prende avvio con la celebrazione nella Basilica di Santo Stefano, parrocchia personale dei migranti, così come era accaduto per l’inizio del Giubileo in Diocesi, a dimostrazione di una Chiesa sempre più dalle genti.

A presiedere il rito, concelebrato da più di 100 sacerdoti tra cui 7 Vescovi, l’Arcivescovo, festeggiatissimo per i suoi 50 anni di ordinazione sacerdotale in Duomo, dove i fedeli sono giunti in processione al termine della Messa, seguendo il Santissimo Sacramento portato nelle mani dallo stesso monsignor Delpini nel prezioso ostensorio ambrosiano. Nella sera dai colori estivi, magnifico il colpo d’occhio delle persone in cammino, accompagnate, nel canto e nella preghiera, da brani della Bolla di indizione del Giubileo, della Parola di Dio e da stralci di interventi papali.

Tantissimi, come sempre, i sacerdoti e i diaconi, i rappresentanti delle realtà ecclesiali – dalle religiose all’Azione Cattolica, dal volontariato all’Università Cattolica -, delle Cappellanie straniere, degli Ordini cavallereschi. Non sono mancate, come tradizione, le autorità civili e militari e i Gonfaloni del Comune, della Città metropolitana – presenti, rispettivamente, gli assessori Grandi e Griguolo – e di Regione Lombardia. Tutti, infine, riuniti in Cattedrale, dove l’Arcivescovo, nella sua omelia, ha richiamato, appunto, il dovere della speranza che non delude.

L’omelia

Anche quando sembra difficile sperare, a partire da tante guerre nel mondo per arrivare all’«indifferenza nei confronti della nostra presenza e del nostro annuncio, quando sperimentiamo un sospetto pregiudiziale e persino una specie di disprezzo nei confronti della Chiesa e di chi vive in essa». Fino all’«esito disastroso dell’individualismo che frantuma i valori in capricci e riduce l’appartenenza alla società alla pretesa di essere accontentato».

Che fare, dunque? Continuare a essere ostinati nella speranza, anche «quando siamo costretti a constatare che le nostre risorse non bastano a risolvere i problemi, la nostra compassione non basta a consolare, le nostre parole non bastano a convincere della vocazione di tutti alla vita buona e fraterna». «Che faremo – ha aggiunto, infatti, monsignor Delpini – di fronte alla gente sfinita da ritmi frenetici, da condizioni di vita insidiate dalla miseria e dalla complicazione; alla gente mortificata dalla frustrazione delle proprie attese; alla gente costretta a una triste solitudine; di fronte alla gente esposta alla precarietà per un lavoro che affatica e non basta a vivere, per una città che pretende e non offre ospitalità?».

Continuare a sperare

«Noi ci ostiniamo nella speranza e continueremo a testimoniare che abbiamo incontrato il Signore, l’abbiamo riconosciuto nello spezzare del pane e da lui abbiamo ricevuto mandato di annunciare parole di speranza, di compiere gesti di guarigione, di abitare il mondo con l’intelligenza, la dedizione, la sollecitudine per ascoltare il grido dei poveri. Ostinati nella speranza noi continuiamo a ricevere il dono della pace da Cristo risorto, che ci incontra nell’Eucaristia, “la pace sia con voi, con tutti voi, sempre con voi”. Le prime parole di papa Leone siano le nostre ogni giorno».

Per questo, ha scandito infine l’Arcivescovo, «mentre vediamo i disastri della guerra, mentre sentiamo le grida delle vittime, mentre siamo scandalizzati per le risorse immense impiegate per rovinare la terra e seminare morte, noi ci ostiniamo a pregare per la pace, a operare per la pace, a parlare di pace, a seminare parole di pace, a coltivare pensieri di pace».

Dopo alcune testimonianze – tra cui quelle di una giovane impegnata nel cammino di discernimento, di due fedeli (una ucraina e l’altra di origine albanese) e di monsignor Virginio Pontiggia (compagno di Messa dell’Arcivescovo che ha preso brevemente la parola citando il motto della Classe di ordinazione 1975, «Uomini per la speranza») -, l’adorazione eucaristica e la solenne benedizione hanno concluso la celebrazione liturgica, ma non la serata, proseguita in piazza Duomo.

La festa

Dove la festa è stata tutta per l’Arcivescovo, che si è affacciato dalla balconata centrale del Duomo: non accadeva dal 1983, quando a ricevere il saluto dei fedeli era stato papa Giovanni Paolo II in visita a Milano per il XX Congresso Eucaristico nazionale. Vicino a lui il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, che, a nome delle sette Zone pastorali, gli ha offerto alcuni frutti tipici delle terre delle singole Zone (qui il suo saluto), tra gli applausi della gente che ha accolto l’Arcivescovo al grido del «Kaire», saluto stampato a lettere cubitali anche su alcuni scatoloni posti sul sagrato dall’animazione della Fom.

Simbolici ed evocativi i “frutti”: per la Zona I (Milano), il frutto della passione, «passione che ti accompagna da 50 anni nello svolgere il tuo ministero», ha scandito il Vicario generale; per la II (Varese), le pesche sciroppate di Monate, che «ci ricordano che se è importante seminare, custodire la pianta, raccogliere i frutti, è necessario anche conservare i frutti nel tempo, perché diventino più gustosi e pieni di sapore; per la III (Lecco), le «castagne, considerate un tempo il pane dei poveri, un cibo per tutti e facile da condividere»; per la IV (Rho), «le spighe di grano, augurando che in mezzo alle fatiche del ministero l’Arcivescovo possa portare nel suo cuore “covoni di gioia”»; per la V (Monza), le ciliegie, simbolo di un famoso miracolo legato alla figura di San Gerardo dei Tintori e alla sua incessante preghiera – «in questi anni ci hai insegnato a pregare in tanti modi, nei tempi della pandemia sotto la Madonnina, e nei momenti della gioia delle celebrazioni ecclesiali festose»; per la VI (Melegnano), il tipico riso; infine per la VII (Sesto San Giovanni), «zona che si caratterizza come un territorio sempre più multietnico e multiculturale», un mango e un avogado.

Ormai è notte, quando i palloncini colorati e un grande applauso salutano ancora una volta l’Arcivescovo.