Quel grido di Gesù dalla croce che riguarda tutti

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La Celebrazione della Passione e Deposizione del Signore è stata presieduta in Duomo dall’Arcivescovo

di Annamaria BRACCINI

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«La tragica storia del giusto ingiustamente condannato non è stata raccontata per fare esplodere lo scandalo – del resto chi ancora si scandalizza? -; non è stata raccontata per far perdere la stima di sé ai figli degli uomini; per aizzare a protestare contro il potere e contro l’ingiustizia, contro la stupidità scriteriata; per indurre a una patetica compassione. È stata scritta per essere evangelo: annuncio di salvezza, invito a conversione».

In un momento decisivo dell’intero Anno liturgico e della vita dei cristiani, la Celebrazione della Passione e della Deposizione del Signore – definita anche “Pasqua di Crocefissione” nell’antico Rito ambrosiano – dice così l’Arcivescovo che la presiede in Duomo. In altare maggiore, siedono i vescovi – monsignor Agnesi, Mascheroni, Merisi, Martinelli, e i Canonici del Capitolo metropolitano.

Molti e carichi di un significato profondissimo, i gesti e i segni che rendono viva ed evidente la memoria del sacrificio del Redentore. Il Rito della luce iniziale, l’Inno, la prima e la seconda Lettura dal Libro del profeta Isaia, che prefigurano la figura di Gesù, e a cui segue il canto del “Tenebrae” anch’esso tipico ambrosiano; il Vangelo di Matteo che riprende dal punto in cui si era interrotto nella Celebrazione in “Coena Domini”. L’Arcivescovo proclama solennemente la pagina evangelica (è l’unica volta che avviene durante l’anno, per un un’antica tradizione della Chiesa Cattedrale) e, nel momento in cui “Gesù gridò a gran voce ed emise lo Spirito”, in Duomo scende l’oscurità, ci si inginocchia ed è spogliato l’altare.

L’omelia

L’ultimo grido di Gesù in croce, annoda l’intera riflessione dell’Arcivescovo, perché – dice – «forse possiamo decifrarlo come l’estrema dichiarazione di amore per tutte le comparse della tragica storia». Grido rivolto agli uomini del tempio, del sacro, ai custodi della legge. «A voi praticanti dell’ipocrisia; a voi che recitate le preghiere senza pregare; che praticate le devozioni senza timor di Dio. Grido a voi per dirvi: io vi ho amato, vi ho amato fino alla fine, vi ho amato e vi amo. ​Grido a voi, uomini del potere, uomini di governo, a voi che fate le leggi e imponete pesi insopportabili sui vostri sudditi, a voi potenti e prepotenti. Imparate da me che sono mite e umile di cuore. Guardate dai vostri palazzi e andate in soccorso di uomini e donne, vostri fratelli e sorelle e siate servi gli uni degli altri».

​E, poi, i ladroni crocifissi con lui: da Barabba a tutti gli «assassini, delinquenti, organizzati per fare del male, per far vivere male, per rovinare gli onesti, per terrorizzare i deboli, per rovinare i giovani. Grido a voi, specializzati nell’imbroglio, nella truffa, spregevoli e temuti. Grido: basta rovinare la gente e il suo convivere. Basta rovinare voi stessi e i vostri figli; fare soldi con la corruzione dei giovani, con l’intimidazione dei deboli, con lo sfruttamento. Vi chiamo a conversione: sono condannato come un delinquente per dirvi che avete ancora la possibilità di diventare giusti, di rimediare al male che avete compiuto con il bene e l’onestà. Convertitevi per non essere infelici e non rendere infelice il mondo».

E non manca il grido per i discepoli pavidi: «voi che siete fuggiti e mi avete abbandonato, discepoli mediocri. Grido a voi, per dirvi: io vi ha amato, fino alla fine. Vi ho chiamato amici e non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Vi chiamo a conversione: mi avete lasciato solo, ma io non vi abbandono, sono con voi tutti i giorni. Aprite gli occhi, riconoscete la mia presenza allo spezzare del pane. Prendete ogni giorno la croce e seguitemi, non temete quelli che possono uccidere il corpo, state con me, voglio che abbiate in voi la mia gioia e che la vostra gioia sia piena».

L’invito è a convertirsi alla speranza, alla carità alla missione per andare in tutto il mondo e annunciare il Vangelo a ogni creatura.

Infine, «i tribolati della storia, morti e sepolti nella disperazione, i malati, tormentati da spiriti cattivi e dal male che scava nella carne e nell’anima», chiamati anch’essi a conversione perché nella tribolazione non vada persa la speranza.

«Io sono risurrezione e vita. Uscite dai vostri sepolcri, entrate nella vita di Dio. il Padre vuole che tutti siano salvati, che nessuno vada perduto e che nessuna lacrima resti senza consolazione».

Poi, l’adorazione della Croce, portata in processione dall’ingresso del Duomo fino all’altare maggiore e baciata dal solo Arcivescovo, per le norme antipandemiche. Dalla preghiera universale con le sue undici orazioni – che paiono abbracciare il mondo intero, dal Papa ai fratelli maggiori ebrei, dai cristiani di tutte le Confessioni a chi non crede, dai governanti, ai malati e ai defunti -, si arriva, infine, al ricordo della Deposizione del Signore che guida a contemplare la scena della sua sepoltura, quando, dopo la lettura dal Libro del profeta Daniele e la conclusione, ancora dal racconto di Matteo della Deposizione nel sepolcro, cala il silenzio e viene velata la Croce, con un Rito ancora una volta peculiare della Cattedrale, a indicare la discesa di Cristo agli inferi.